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25.06.2012  |  Cultura

L’educazione al tatto e ai suoi messaggi

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Dall’infimo al sublime, da mendicante a re. Silvia Vegetti Finzi prosegue nel suo racconto alla scoperta del più negletto dei sensi. Complici le barriere erette da una società che non distingue tra paure reali e fobie, ignoriamo i messaggi che il tatto ci invia. Esso richiede vicinanza, contiguità, con-tatto, in apparente contrasto con la comunicazione d’oggi concepita negli spazi immensi.

Eppure il tatto ci restituisce informazioni e sensazioni sulle parti più intime e profonde del nostro essere.

Ci voleva la sensibilità di Maria Montessori per cogliere una carenza così poco evidente e inserire, nel suo programma pedagogico, l’ educazione tattile. Il suo metodo, ora diffuso in tutto il mondo, si rivolgeva ai bambini poveri dei quartieri popolari di Roma, deprivati di stimoli e di competenze, ma oggi tutti i bambini in questo senso sono poveri perchè, benchè vivano nella sovrabbondanza dei consumi, mancano di esperienze materiali, di contatti diretti con le cose, spesso sostituiti da effetti di simulazione dove il virtuale prende il posto del reale.
Persino la medicina, che con Galeno ha descritto analiticamente l’anatomia e la fisiologia del corpo umano, ha trattato ben poco le funzioni e le patologie del “tatto”. Sappiamo che è pericolosissimo nascere deprivati di questo senso, che è a rischio la sopravvivenza stessa. Ma, forse perchè accade raramente, quella patologia rimane relegata nell’ambito specialistico, senza coinvolgere l’opinione comune.

[…] Eppure spetta al tatto stabilire il primo, più immediato contatto immunitario col mondo informandoci, in presa diretta, su ciò che può scottare, pungere, tagliare, che ci fa bene o male, che può essere toccato con piacere o sfuggito con timore. Chiunque sia stato urticato da un’arbusto impara subito a riconoscerlo e a evitarlo. Ma il nostro habitat è ormai così addomesticato che il tatto ha ben poche occasioni di essere messo alla prova.
Eppure negli ultimi anni sostanze usate quotidianamente, come i detersivi , il lattice, i cosmetici, e persino elementi naturali, come la frutta trattata con anticrittogamici, risultano spesso lesivi per le mucose della pelle. Le dermatiti da contatto appaiono patologie sempre più diffuse e l’uso dei guanti è un modo ormai abituale per toccare le cose senza esserne toccati tanto che, alla fine, per un rovesciamento speculare dei rapporti, gli intoccabili siamo noi.
Come sempre la paura reale suscita forme di fobia mentale che, generalizzando il pericolo, rafforzano la barriera tra mondo interno e mondo esterno chiudendoci nella capsula del corpo, come avviene per gli astronauti quando esplorano l’universo sigillati in scafandri impenetrabili .
Però, nonostante le esperienze tattili risultino necessarie alla nostra incolumità, nella vita di ogni giorno, contraddistinta dalla superficialità e dalla fretta, i messaggi che il tatto ci invia vengono spesso trascurati e i segnali d’ allarme disattesi.
Ci comportiamo verso le sensazioni endogene come se avessimo staccato la spina che congiunge il corpo alla mente.
Solo gli artisti sanno cogliere le segrete risonanze del corpo, persino del tatto, tradurle in simboli e comunicare agli altri le emozioni che esse suscitano. Per cui, paradossalmente, è più facile per noi “sentire” attraverso l’opera d’arte che nella realtà. Non si esclama spesso, di fronte alle cose riprodotte in un quadro o in una fotografia ” sembra di toccarle”, “sembrano vere”?
Ma il più delle volte, quando il contatto con le cose ci rinvia un’impressione intensa o sorprendente, si dice, rinvolgendosi a chi ci sta vicino: ” tocca, senti anche tu”. Un con-sentire che crea un attimo fuggevole d’intimità ma che, contrariamente alla vista e all’udito, non aggrega, non produce gruppo, non fa legame sociale, non si espande oltre i confini dei corpi che vi sono impegnati.
La propaganda che ha sostenuto, come osserva Remo Bodei, le grandi passioni politiche del ‘900 – le passioni nere del nazifascismo, quelle rosse del socialismo e le passioni grigie del liberalismo borghese – è stata alimentata da due mezzi di comunicazione di massa, nuovi a quell’epoca: la radio e il cinema. Ma il tatto, poco idoneo alla trasmissione e alla diffusione di messaggi, non ha preso parte al festino, è rimasto ai margini, troppo arcaico per le esigenze della modernità. Per condividerlo è necessario infatti essere vicini, prossimi, contigui, inclusi nel medesimo tempo, nel medesimo spazio.
Ecco, la prossimità e l’immediatezza mi sembrano le caratteristiche principali del tatto, ciò che lo rende al tempo stesso infimo e, come vedremo, sublime.
L’ apparato tattile infatti, che percepisce l’oggetto solo per contatto diretto tra le due superfici, la pelle e la cosa, contrariamente alla vista e all’udito non fruisce di mediatori.
Siamo in grado di ricevere informazioni da ogni parte del mondo, di vedere e di ascoltare chi si trova nello spazio o in fondo all’Oceano, ma non possiamo in alcun modo condividere le sue le percezioni tattili, che non prevedono mediazioni, non consentono trasferimenti. Il tatto, che non ha surrogati, funziona solo qui e ora.

[…] Il tatto è un senso decontestualizzato, spaesato, che richiede altre informazioni non essendo, di per se stesso, esaustivo.
Inoltre, mentre siamo soliti udire molti suoni e vedere una quantità di immagini contemporaneamente, recepiamo una informazione tattile per volta.
Per questo, nell’era delle telecomunicazioni, il tatto, come fosse fatto di una materia particolarmente pesante, rimane a terra.

Salviamo il tatto dall’emarginazione. Nella prossima puntata il viaggio continua nei secoli e nella storia in compagnia di grandi estimatori del quinto senso, da Aristotele a Platone, da Galeno a Freud. Se non ci credete, venite a toccare con mano. Parola di san Tommaso.

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